Il "Saul" di Vittorio Alfieri: l'emergere dell'inconscio in un Io scisso

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La produzione tragica rappresenta il vertice dell'attività letteraria dell'Alfieri: è autore di 21 tragedie in un arco di tempo che va dal 1775 al 1787. Intorno a questi testi, alla loro ideazione e alla loro stesura ruota tutto il mondo alfieriano. I testi dell'Alfieri sono dominati da un'altissima tensione drammatica, in cui manifestazioni primordiali dello spirito (la brama di potere, l'aspirazione alla libertà, l'amore, l'odio, la vendetta, la gelosia) si fronteggiano senza mediazioni, nelle loro forme più elementari, fino all'inevitabile e catastrofico scontro finale. Il motivo che ricorre in tutte le tragedie alfieriane è quello della lotta di un individuo eroico contro le forze soverchianti di un mondo ostile: in questa prospettiva, anche la figura del tiranno può assumere una dimensione di grandezza, che trova nella titanica lotta contro il destino il riscatto della sua malvagità.


L'argomento della tragedia è tratto dalla Bibbia e si impernia sulla complessa e tormentata personalità di Saul, re d'Israele, colto negli anni della vecchiaia e del declino. Il re è legato al genero David, marito della figlia Micol, un contradditorio rapporto in cui si uniscono affetto e gelosia, ammirazione e invidia. Le tensioni esplodono quando alla vigilia di una battaglia contro i Filistei, David fa ritorno al campo d'Israele, da cui Saul lo aveva cacciato, per combattere al fianco del suo popolo. Dopo il primo atto in cui, attraverso il dialogo tra David, Micol, Gionata (figlio di Saul) si definiscono le premesse della vicenda, all'inizio del secondo viene introdotta la figura del re: l'espediente di introdurre il personaggio principale quando l'azione è già iniziata è ricorrente nelle tragedie alfieriane e produce l'effetto di innalzare attraverso l'aspettativa il livello di tensione del pubblico.
La grandezza della figura di Saul risiede essenzialmente nella dissociazione della sua personalità: l'Alfieri ha saputo rappresentare con alta intensità emotiva e convincente verosimiglianza il dramma di un uomo lacerato da tensioni contrapposte, che scopre in se stesso, con raccapriccio ma anche con un morboso compiacimento sentimenti oscuri e insospettati. Saul, si propone così come una sorta di caso clinico, come un archetipo del nevrotico che sotto la sua superficie razionale intuisce la presenza di pulsioni inconsce e incontrollabili che si manifestano sotto forma di fantasie ossessive: l'odio e la gelosia nei confronti di David, contrapposti a  sentimenti di ammirazione e di affetto.
La sequenza del sogno, o meglio, dell'incubo, si configura poi come un esempio tipico di nevrosi ossessiva, con la voce misteriosa e la deformazione mostruosa del braccio di Samuele che si allunga a strappare la corona dalla testa di Saul: qui un analista freudiano coglierebbe senza dubbio la presenza di un'evidente simbologia fallica; ma anche senza ricorrere alle controverse e suggestive interpretazioni psicanalitiche, è incontestabile che l'Alfieri in tutta la scena abbia voluto rappresentare una personalità scissa (o "schizofrenica"), un io profondamente turbato da insanabili contrasti interiori.
La mente del re è sconvolta da spinte che nascono interamente dentro di lui, da quello che in termini moderni si chiama inconscio. Nei dialoghi con il consigliere infido e malevolo Abner, alle osservazioni di Abner, Saul è su un altro piano del discorso e più che a un dialogo, si assiste ad un monologo. La figura di Saul, qui, sembra denunciare una sindrome autistica che blocca i rapporti con l'esterno e trasforma le ossessioni del subconscio nell'unica verità possibile.
Il Saul, fra le tragedie alfieriane, è forse quella più decisamente anti-illuministica: l'emergere dell'inconscio e il suo sottrarsi al controllo della ragione, che sono i temi centrali dell'opera.
Tuttavia, almeno una componente illuministica  è riscontrabile nella polemica anticlericale che Saul conduce contro i sacerdoti  d'Israele. Qui la critica alla condizione parassitaria del clero è ben evidente: "Chi siete voi? Stirpe malnata e cruda, che dei perigli nostri all'ombra ride"
Nell'epilogo della vicenda, Saul, sconfitto dai Filistei, da tutti abbandonato, si trova di fronte all'enormità della sua sventura e alla stretta finale del suo destino. Ma è proprio qui che il sovrano ritrova tutta la sua regale grandezza: sotto l'impeto della catastrofe, trovano soluzioni le contraddizioni e i conflitti interiori che hanno tormentato la psiche di Saul. Il messaggio dell'Alfieri è chiaro: l'unica vera grandezza consentita all'uomo, al di là delle ingannevoli illusioni della gloria e del potere, è nella coraggiosa accettazione del proprio destino, nel fronteggiare con eroica fermezza l'inevitabile fallimento di ogni ambizione di gloria e di immortalità.
Vibrano in questo atteggiamento titanico note che troveranno eco profonda nelle successive esperienze del Romanticismo Italiano, dalla poesia di Foscolo all'ultimo Leopardi, per poi confluire, attraverso metamorfosi e adulterazioni, in certi atteggiamenti superomistici del Decadentismo novecentesco.



Lunaria: qui alcuni dei mie passaggi preferiti...

"Saul" (1782)

Atto Primo, Scena Terza

Micol:

Notte abborrita, eterna,
mai non sparisci?... Ma, per me di gioia
risorge forse apportatore il sole?
Ahi lassa me! Che in tenebre incessanti
vivo pur sempre! (1) - Oh! Fratel mio, più ratto (2)
di me sorgesti? Eppur più travagliato,
certo, fu il fianco mio, che mai non posa.
Come posar poss'io fra molli coltri,
mentre il mio ben (3) sovra la ignuda terra,
fuggitivo, sbandito,(4) infra covili
di crude fere (5), insidiato giace?
Ahi d'ogni fera più inumano padre! (6)
Saùl spietato! Alla tua figlia togli
lo sposo, e non la vita?  - Odi, fratello;
qui non rimango io più: se meco vieni,
bell'opra fai (7); ma, se non vieni, andronne
a rintracciarlo io sola: io David voglio
incontrare, o la morte.

1) Oh, lasciami! che in tenebre senza fine vivo sempre!
2) Più veloce di me
3) David
4) Esiliato
5) Animali feroci
6) Ma mio padre è più feroce delle bestie feroci!
7) Se vieni con me, fai una cosa degna di ammirazione


Atto Secondo, Scena Prima

Saul:

Bell'alba è questa. In sanguinoso ammanto (1)
oggi non sorge il sole; un dì felice
prometter parmi. - Oh, miei trascorsi tempi! (2)
Deh! Dove sete or voi? Mai non si alzava
Saùl nel campo da' tappeti suoi,
che vincitor la sera ricorcarsi
certo non fosse.

1) Avvolto di vapori rossastri
2) Il sorgere dell'alba suscita nel protagonista il rimpianto del passato.


Saul:

Ah! no: deriva ogni sventura mia
da più terribil fonte... E che? celarmi
l'orror vorresti del mio stato? Ah! S'io
padre non fossi, come il son, pur troppo!
Di cari figli,... or la vittoria e il regno,
e la vita vorrei? Precipitoso
già mi sarei fra gl'inimici ferri (1)
scagliato io, da gran tempo: avrei già tronca (2)
così la vita orribile ch'io vivo.

1) Inimici ferri = Armi nemiche

2) Troncato


Fero (3),
impaziente, torbido, adirato
sempre; a me stesso incresco (4) ognora, e altrui;
bramo in pace far guerra, in guerra pace (5):
entro ogni nappo (6), ascoso tosco (7) io bevo;
scorgo un nemico in ogni amico; i molli
tappeti assiri, ispidi dumi (8) al fianco
mi sono; angoscia il breve sonno; i sogni
terror. Che più? Chi'l crederia? Spavento
m'è la tromba di guerra; alto (9) spavento
è la tromba a Saùl. Vedi, se è fatta
vedova (10) ormai di suo splendor la casa
di Saùl; vedi, se omai Dio sta meco (11).


3) Feroce
4) Riesco sgradito
5) Quando vivo situazioni liete, voglio far guerra; quando vivo situazioni di guerra, anelo alla pace.
6) "Nappo" = "Tazza"
7) Veleno nascosto; Saùl vive continuamente nel sospetto di essere avvelenato.
8) "Dumi" = "Spine" (dal Latino "Dumus", "Cespuglio spinoso")
9)Profondo
10)"Vedova" qui significa "Priva"
11) Con me 


Scena Seconda

Saul:

...Meco (1) è sempre il dolore. - Io men sorgea
oggi, pria (2) dell'usato, in lieta speme (3)...
ma, già sparì, qual del deserto nebbia,
ogni mia speme. - Ormai che giova, o figlio,
protrar la pugna (4)? Il paventar la rotta (5),
peggio è che averla; ed abbiasi (6) una volta.
Oggi si pugni, io'l voglio.


1) Con me
2) Prima
3) Speranza
4) La battaglia
5) La sconfitta
6) E si abbia



Saul:

Piangete tutti. Oggi, la quercia antica,
dove spandea già rami alteri all'aura,
innalzerà sue squallide radici.
Tutto è pianto, e tempesta, e sangue e morte:
i vestimenti squarcinsi; le chiome
di cener vil si aspergano. Sì, questo
giorno, è finale; e noi l'estremo, è questo.


Scena Terza

Micol:

Ciò non udii; ma forte accigliato era,
e susurrava non so che, in sé stesso,
di sacerdoti traditor; d'ignota
gente nel campo; di virtù mentita...
rotte parole, oscure, dolorose,
tremende, a chi di David è consorte,
e di Saulle è figlia.


Saul:

Che sete (1) voi?... Chi d'aura aperta e pura
qui favellò? (2) ... Questa? è caligin (3) densa;
tenebre sono; ombre di morte... Oh! Mira; (4)
più mi t'accosta; il vedi? (5) Il sol dintorno
cinto ha di sangue ghirlanda funesta...(6)
Odi tu il canto di sinistri augelli? (7)
Lugubre un pianto sull'aere (8) si spande,
che me percuote, e a lagrimar mi sforza (9)...
Ma che? Voi pur, voi pur piangete?


1) Chi siete voi?
2) Chi parlò?
3) Nebbia
4) Osserva
5) Lo vedi?
6) Il sole sembra circondato da un alone funesto
7) Sinistri uccelli
8) Per il cielo si ode un canto lugubre
9) Mi obbliga al pianto


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APPROFONDIMENTO: L'Alfieri e il Tiranno: una proiezione dell'io

Pochi scrittori nascondono come Vittorio Alfieri sotto un'esplicita e quasi esasperata proclamazione di principi e di valori una sostanziale ambiguità, un doppio livello di lettura che sfugge alle coordinate ideologiche in apparenza tanto vigorosamente e nettamente definite. In questa "zona d'ombra" rientra in particolare il tratto dominante della personalità alfieriana, ossia la sua brama di libertà, alla quale si collega l'odio per ogni forma di tirannia. Tutta l'opera dello scrittore, dalla "Vita" ai trattati, dalle "Rime" alle tragedie, ruota intorno a questo tema fondamentale, che nell'autobiografia è riscontrabile fino dalle manifestazioni originario del carattere alfieriano. Il lettore attento noterà che l'esecrazione del tiranno non esclude sentimenti di ammirazione nei suoi stessi confronti: è innegabile che l'Alfieri subisca il fascino e la suggestione di quel personaggio che per lui incarna l'essenza del male, tanto da ridurre molte delle sue più potenti tragedie a giganteschi ritratti di tiranni, la cui grandezza si impone su un gruppo di personaggi insignificanti o appena accennati e su cui inevitabilmente converge, al di là delle condanne formali, il processo di identificazione dello spettatore (o del lettore).
Ma perché ciò avvenga è necessario che in precedenza si sia verificato ancora un altro passaggio, e cioè l'identificazione con il protagonista da parte dell'autore stesso: assistiamo in sostanza al paradosso dello scrittore più libertario del Settecento italiano che si elegge a modello la figura del tiranno, suo mortale nemico.
Questa contraddizione è facilmente verificabile all'interno dell'opera alfieriana: per citare solo alcuni dei casi più nitidi, pensiamo al sonetto in cui il poeta, tracciando il proprio ritratto, si definisce "pallido in volto, più che un re sul trono"; oppure, fra le tragedie, al "Saul", in cui il personaggio del re israelita, con le sue connotazioni di solitudine, lacerazione interiore e indomito orgoglio, richiama senza alcun dubbio tratti dominanti della personalità alfieriana. Forse per risolvere queste ambiguità può essere utile ricorrere al concetto di "proiezione": nel linguaggio della psicanalisi, con questo termine, si intende un fenomeno inconscio attraverso il quale un individuo attribuisce a soggetti esterni, veri o immaginari, caratteristiche che appartengono alla sua personalità e costituiscono per lui fonte di disagio.
Nel caso dell'Alfieri, non c'è dubbio che la sua psicologia fosse di tipo egocentrico e caratterizzata da fenomeni di ipertrofia dell'io che rendevano allo scrittore estremamente difficoltoso istituire una vera comunicazione con gli altri: secondo una testimonianza raccolta dal Foscolo, "il tragico italiano passò gli ultimi anni della sua vita fra un'arrogante irascibilità ed una profonda melanconia, che talvolta cresceva a segno da non renderlo responsabile delle proprie azioni"; ma fin dalla sua giovinezza l'Alfieri manifestò chiari segni del suo carattere dispotico e intollerante, tormentato da fantasie ossessive di tipo persecutorio e incline a manifestazioni violente: si ricordi l'episodio del servo Elia, percosso a sangue perché aveva tirato i capelli del padrone mentre lo pettinava.

Ora, è chiaro che queste componenti (solitudine, egocentrismo, intolleranza, ossessioni persecutorie, accessi di violenza) disegnano perfettamente l'identikit del tiranno così come ci è stato consegnato dalla tradizione: l'Alfieri dunque si ritrovava a ospitare in se stesso una doppia personalità, quella del libertario insofferente di ogni vincolo e quella del despota portato per istinto a imporre a tutti i costi il proprio volere.
La psicanalisi insegna che da queste situazioni di conflitto interiore si esce mettendo in opera meccanismi di difesa che spostano o mascherano la contraddizione, fonte della nevrosi: uno di questi meccanismi, la proiezione, è appunto utilizzato dall'Alfieri quando si libera delle caratteristiche inaccettabili della sua personalità, attribuendole al personaggio del tiranno.
La proiezione, però, come tutti i meccanismi difensivi dell'inconscio, non determina una liberazione totale e definitiva, ma lascia un residuo, un margine entro il quale i caratteri negati continuano ad operare e affascinare: è appunto qui che risiede la spiegazione dell'ambiguità alfieriana nei confronti del tiranno, nella cui figura, respinta razionalmente, l'inconscio dello scrittore continua a riconoscere parte di se stesso.